biografia

A dieci anni dalla sua scomparsa, Antonio Caronia emerge come come una delle figure più originali del pensiero italiano a cavallo dei due secoli. Teorico non accademico, filosofo “da strada”, sociologo dei media, la sua riflessione abbraccia le trasformazione tecnologica e la rivoluzione digitale intervenuta nel capitalismo avanzato e nelle società post fordiste.

A partire dagli anni ‘70 Caronia avvia una conversazione a distanza tra la ricerca filosofica e il pensiero visionario di Philip K. Dick, James Ballard, Samuel R. Delany, William Gibson, Alice Sheldon (aka James Tiptree Jr.), Ursula Le Guin. Un corpo a corpo intellettuale e politico cominciato sulle pagine di “Un’Ambigua Utopia”, la rivista-fanzine che in pieno post ’77 rivoltò il lavoro culturale fuoriuscito dalla militanza politica attorno a concetti di utopia e eterotopia, hackerando la carica trasformativa e pulp della fantascienza.

L’analisi di Caronia ha indagato il cyborg, cioè l’essere umano naturalmente tecnologico, attraverso l’impronta dell’immaginario non meno che le evoluzioni della tecnica. Per Caronia il cyborg – che è anche il titolo del suo libro più noto, anche nelle successive riedizioni – è, né più e né meno, l’umano in quanto “animale storico”, anzi “animale del possibile” che il teorico genovese indaga successivamente a partire dai concetti di “corpo virtuale”, “corpo disseminato”, “significante fluttuante”.

Dalla prospettiva di Marshall McLuhan osserva che il corpo, nell’epoca delle reti, può infine rivendicare quello spazio che “non 400 anni di modernità, ma 7.000 anni di neolitico gli hanno tolto”. Non meno importanti di McLuhan, per Caronia sono William Burroughs e Antonin Artaud, due grandi irregolari del secolo scorso, a cui approda nel corso degli anni ’90 la sua riflessione sul conflitto tra il corpo e il linguaggio. La sintonia con Foucault emerge mano a mano che lo studio dell’uomo artificiale ne chiarisce il rapporto con la nascita della biopolitica, che Caronia sviluppa a più riprese attraverso i corsi tenuti presso l’Accademia di Brera e la Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) tra il 2006 e il 2011.

Dodici anni fa, nasce l’Archivio di Un’Ambigua Utopia presso la Cascina Autogestita Torchiera SenzAcqua di Milano. Qui il fondo di Antonio è diventato il seme di un progetto di biblioteca
controculturale oggi ospitato da due stanze istoriate dalla crew Mutoid all’insegna di un fantastico pullulante di sottobosco, leggere creature libertarie e meccaniche e primati post-industriali.