La catastrofe, oggi, viene associata, sempre più, all’idea di “un’apocalisse privata di una finalità trascendente” [Roberto Ciccarelli, Una vita liberata, Derive Approdi, 2022] epurata del suo significato originario di “rivelazione, cioè sottrarsi al nascosto e venire alla luce, annunciare la fine e preparare l’avvento del Regno di Dio” o del secolarizzato Sole dell’Avvenire.
La catastrofe da evento singolare e irriproducibile diviene elemento costitutivo del “nuovo stato della normalità”, una normalità su misura per una società in cui “il rischio è ontologicamente dato [e in cui] la conoscenza non serve a superarlo, ma a governarlo in un sistema instabile, caotico e dispersivo.”
Rendere la vita “esposta, per sua natura, a una catastrofe che si dà ed è irrimediabile” è l’obiettivo di una governamentalità della vita che si alimenta di una crisi permanente e irrisolvibile per l’umano operare.
In quest’ottica riproponiamo un’intervista ad Antonio Caronia sulla teoria delle catastrofi (di Ilaria Beretta) utile a riportare la complessità di questo termine potenzialmente capace di ridare sempre nuovo senso e nuove prospettive alle ricorrenti catastrofi, cioè alle rotture che insieme alle continuità permettono lo scorrere, apparentemente lineare e continuativo, della vita stessa.