Il corpo virtuale

IL CORPO VIRTUALE

Dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti

Prefazione

La prima edizione di questo volume è apparsa nel periodo in cui si andavano consolidando le narrazioni utopiche che hanno accom- pagnato lo sviluppo delle tecnologie digitali e della rete, rendendole così permeabili. Era il 1996, e la tecnologia digitale e la rete erano all’inizio della loro popolarizzazione. La rete, in particolare, sem- brava poter dare voce al singolo cittadino, e molti leggevano questa sua potenzialità come la capacità, insita nel digitale, di determinare processi sociali complessi. Ed era fuor di dubbio, all’interno della narrazione utopica, che tutti questi processi fossero avviati verso una democrazia diretta, o quantomeno più partecipativa. Bisogna ricordare che questa ondata utopica si diffuse nel periodo di mas- simo splendore – e, logicamente, all’inizio del declino – delle demo- crazie liberali e del liberismo. Era passato un decennio dall’inizio della perestrojka, e pochissimo tempo dalla sua crisi definitiva che portò alla dissoluzione dell’URSS, e si credette per un breve periodo che le democrazie liberali avrebbero instaurato il regno della creati- vità e della libera impresa a livello planetario. Come dubitarne. L’e- sperienza mostrava che questi sistemi erano stati essenziali per lo sviluppo delle tecnologie digitali e del personal computer e, succes- sivamente, per la diffusione di internet come luogo di libero scam- bio incarnato dal peer-to-peer (P2P).
Negli stessi anni, però, il panorama democratico e quello libe- rista cominciavano ugualmente a mutare. Progressivamente, quegli stessi scenari si trasformano in un laboratorio per le multina- zionali e le corporations che regnano nel mediascape contemporaneo. È infatti proprio nel momento più alto dell’ondata libertarianista che, in forma embrionale, le corporations hanno trovato terreno fer- tile, minando progressivamente questi spazi di libero scambio di idee, d’informazione e di merci, e appropriandosene successiva- mente a livello planetario.
Questa problematica si sente chiaramente nel lavoro di Anto- nio Caronia che qui presentiamo, soprattutto quando l’autore ci mette ripetutamente in guardia contro il possibile “tecnopolio” incarnato dalla Microsoft, nella persona di Bill Gates. Allo stesso modo, è ugualmente possibile individuare lo spirito dei movimenti no-global che pochi anni dopo, nel 1999, avrebbero acquisito forma concreta a margine delle manifestazioni indette in occasione della conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) di Seattle. Ma ciò che mi pare interessante, e importante sottolineare, è la ferma fiducia, che emerge dal testo, nei processi sociali che comin- ciavano piano piano ad acquisire come modello strutturale forme acentriche, forme non gerarchiche. In altre parole, dal volume sem- bra emergere come, in generale, la società avesse finalmente trovato nella figura del rizoma un modello alternativo alla struttura arbo- rescente, e come vedesse in questa struttura acentrica la forma del futuro. Lo si vede nel capitolo Telefono tattile, in cui l’autore riflette sull’emergere di una tecnologica capace di controllare il corpo di altri che non sia il possessore di quel corpo. A partire da questa possibilità, Caronia scarta decisamente l’emergere di uno scenario totalitario poiché la capacità di controllo del corpo sarebbe, nell’i- potesi esaminata, una “possibilità (…) del tutto reciproca: l’altro può controllarmi come io posso controllare lui (o lei)” (cf. p. 179). Oggi, nel nostro mondo mediatico – nel mondo di Facebook – e soprat- tutto dopo la recente esperienza di Cambridge Analytica, la capacità tecnologica di controllare il corpo di un altro verrebbe concepita all’interno di uno scenario caratterizzato da un’enorme asimmetria di potere tra le parti in gioco. Ma il passo sopra riportato ben s’inse- risce nello spirito del tempo, porta ben impressa l’impronta dell’aria utopica che si respirava in quegli anni, anni in cui si pensava a un futuro prossimo ormai conquistato dal media-attivismo e da siner- gie acentriche determinate dalla rete, un futuro disegnato dal P2P.
È probabile anzi che quest’aria di positivismo abbia polarizzato e radicalizzato le posizioni rendendo le voci discordanti, degli apo- calittici, estremamente conservatrici e anacronistiche. E così, nella visione utopica di quegli anni il fenomeno di esternalizzazione del singolo verso il pubblico – ormai verso una rete infinita d’informa- zione – è stato generalmente accettato, seppur con qualche riserva. Veniva giustamente riconosciuto come un fenomeno inarrestabile. E forse per questo, nello zeitgeist utopico, l’esternalizzazione del sin- golo e la totale perdita della sfera privata, con la conseguente dimi- nuzione del libero arbitrio, sono avvenute senza grandi resistenze.
Bisogna però sottolineare che, benché nel contesto tecnologico degli anni ’80 e ’90 si potesse intravedere il possibile consolidarsi di un sistema totalitario di sorveglianza, descritto dalla fantascienza e molto presente nell’immaginario collettivo sotto forma del Grande Fratello orwelliano1, non era altrettanto scontato inferire dall’irru- zione delle tecnologie digitali il diffondersi della performante capa- cità di profilazione resa possibile dalla rete. Senza dubbio, per non citare che un esempio, l’idea di una televisione diventata “(…) un organo di comunicazione a due vie, capace non solo di inviare imma- gini, ma anche di prelevarne” (cf. p. 147) poteva lasciar sospettare che, attraverso questa nuova tecnologia, si sarebbe potuto instau- rare un regime di sorveglianza di tipo orwelliano. Ma, nonostante tutto, lo sviluppo del modello acentrico delle prime esperienze P2P faceva pensare alla definitiva esorcizzazione di espressioni autorita- rie. È però molto interessante, a mio avviso, notare come una televi- sione “a due vie” non permettesse ancora di immaginare la forza di dematerializzazione su cui si sarebbe retto il capitalismo cognitivo, e ancor meno di intuire che era proprio quella forza che lo avrebbe reso capace di trasformare tutto in informazione per poi reificarla e immetterla in un flusso commerciale essenzialmente guidato da algoritmi. Certo, si intuiva che nell’era del capitalismo cognitivo la forza di dematerializzazione del digitale avrebbe esteso la capacità di reificazione verso entità che fino a quel momento non si pensava potessero essere mercificate. Si intravedeva già, inoltre, che l’infor- mazione sarebbe diventata la fonte primaria di creazione di valore. Ma si parlava essenzialmente di contenuti – questi ormai orfani di ogni supporto materiale. Non era ancora ben chiaro che ogni sin- golo gesto umano, ogni frammento di gesto, cadenza e funzione fàtica, con le loro rispettive intonazioni e la loro gestualità, sareb- bero entrati a far parte di quello che in modo astratto chiamammo informazione e, di conseguenza, avrebbero potenzialmente potuto divenire “cose” mercificabili. Ed è proprio su questo fenomeno com- plesso di dematerializzazione e codificazione del tutto che è pos- sibile che si instaurino dinamiche di sfruttamento, di controllo e di dominazione che, ancora ai giorni nostri, non trovano forma nell’immaginario collettivo.
In questo testo, Caronia costruisce il suo ragionamento proprio sul fenomeno di esternalizzazione del singolo; da qui, si sofferma ed enfatizza diverse volte lo “zampillare” dell’informazione dall’interno della casa, dal telefono, dalla radio, dal televisore, dal computer, e ci ricorda che “(…) se l’esterno, cioè il mondo, si rovescia dentro la casa nella forma di flussi informativi, l’interno, cioè la casa, può estroflet- tersi nel mondo” (cf. p. 96). Era questo, senza dubbio, un fenomeno sotto gli occhi di tutti; quasi uno slogan pubblicitario dell’era della multimedialità nascente. Erano gli anni ’90, gli anni della commer- cializzazione su larga scala del CD-ROM. Ma Caronia conduce il ragionamento verso un’analisi che va al di là dello studio del ricco universo mediatico dell’epoca. Seguendo la formula mcluhaniana in cui, a partire dal telegrafo e dalla sua rete intercontinentale, si assiste per così dire a una esternalizzazione del sistema nervoso centrale2, Caronia in questo testo coglie alcune problematiche che erano rima- ste aperte fin dalla formulazione di McLuhan, negli anni ‘60.
Ricordiamo che, tradizionalmente, la tecnologia è stata com- presa come un’estensione del corpo umano, un’estensione dei nostri sensi. A un certo punto, come McLuhan ci mostra, la tecnologia non poteva più essere compresa in quel modo o, per lo meno, non sola- mente come una protesi, un’estensione fisica del nostro corpo nello spazio. Con l’irruzione della rete telegrafica la tecnologia era diventata anche forza d’esternalizzazione e, dunque, era necessario riformularne radicalmente la comprensione. E iniziare questo arduo compito dall’a- nalisi del corpo era più che pertinente. Non solo perché il corpo si trovava proprio allo snodo tra una tecnologia intesa come estensione del corpo umano nello spazio e una tecnologia intesa come esterna- lizzazione del sistema nervoso centrale, ma soprattutto perché i pro- cessi video-elettronici e digitali di rappresentazione avevano profon- damente trasformato il modo in cui il soggetto incontrava il mondo e, di conseguenza, il modo in cui ne faceva esperienza. Infatti, con il progressivo abbandono delle tecnologie di rappresentazione basate sui processi fotochimici, il reale si era popolato consistentemente di simulacri, cioè di copie senza originale, di “rappresentazioni” che non trovavano alcun referente. L’abbandono dei media di rappresenta- zione a favore dei processi video-elettronici prima, e poi l’adozione degli attuali processi di codificazione binaria, alteravano in profon- dità la comprensione dell’oggetto e obbligavano a ripensare, riformu- lare e, alla fine, abbandonare l’equazione dualistica oggetto-soggetto.
2 Prendendo a prestito le parole di McLuhan, “Dopo essere esploso per tremila anni con mezzi tecnologici frammentari e puramente meccanici, il mondo occidentale è ormai entrato in una fase di implosione. Nelle ere della meccanica, avevamo operato un’estensione del nostro corpo in senso spaziale. Oggi, dopo oltre un secolo d’impiego tecnologico dell’elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio. Ci stiamo rapidamente avvicinando alla fase finale dell’estensione dell’uomo: quella, cioè, in cui, attraverso la simulazione tec- nologica, il processo creativo di conoscenza verrà collettivamente esteso all’intera società umana, proprio come, tramite i vari media abbiamo esteso i nostri sensi e i nostri nervi” (McLuhan, Gli strumenti del comunicare, 23).
Il corpo, come ben ci mostra Caronia in questo testo, potrebbe diventare lo strumento concettuale attraverso il quale effettuare la sutura tra oggetto e soggetto. Infatti, il corpo è il luogo in cui avviene l’incontro sensibile tra soggetto e oggetto; è dunque il luogo dove le cose (inclusi gli oggetti digitali) esistono e, allo stesso tempo, il luogo in cui le cose, attraverso l’esperienza, generano il soggetto. Oltre a ciò, definendo il corpo come elemento di sutura nel millenario dualismo oggetto-soggetto, Caronia recupera in pieno la tesi di André Leroi- Gourhan secondo cui le tecnologie sono essenzialmente tecnologie del corpo capaci di esercitare una forza di trasformazione dagli effetti incalcolabili; del resto, secondo questa lettura, la dicotomia organico vs inorganico è annullata dallo stabilirsi di una continuità ininterrotta tra corpo e protesi tecnologica. Ed è a partire da questo fenomeno che il testo di Caronia si dipana secondo tre assi distinti, relativi a tre contesti tecnologici ben definiti: uno che genera il corpo replicato, un secondo, elettronico, che produce il corpo invaso, e un terzo che, eser- citando una forza centrifuga, genera il corpo disseminato.
L’idea del corpo come luogo in cui si consuma lo scontro sen- sibile tra oggetto e soggetto introduceva senza dubbio un cambio di paradigma; quest’idea sembrava destinata a diventare il vettore che avrebbe guidato, e soprattutto delimitato, le ricerche sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale e, allo stesso tempo, che avrebbe esorciz- zato le teorie transumaniste, l’utopia distopica dei nostri giorni. Il corpo, come ci mostra Caronia in questo testo, può dunque essere la chiave di lettura per meglio capire l’esperienza di un mondo fisico che trova articolazioni digitali; in altre parole, per meglio capire la forma in cui il soggetto si costruisce attraverso l’esperienza di oggetti, attra- verso la creazione di cose che ormai presentano una natura ibrida, poiché si estendono nel regno digitale.
Il testo presenta inoltre un punto di vista interessante circa l’i- potesi secondo cui il regno immateriale e flessibile del digitale sta- rebbe profondamente riformulando, riprogrammando e alterando il modo in cui il soggetto sperimenta e costruisce le forme dell’identità. Questo avverrebbe non solo per il fatto che il digitale potrebbe coinci- dere con il tramonto dello Stato-nazione, un fenomeno sotto gli occhi

di tutti, ma soprattutto perché l’esperienza di un corpo flessibile, mul- tiforme e disseminato nelle reti potrebbe creare un corpo che abban- dona la dimensione organica permanente diventando un’entità sog- getta a forze di passaggio, e dunque qualcosa di transitorio, qualcosa che si può abbandonare. Questa mutazione antropologica potrebbe generare, come sottolinea Caronia, una diffusa “paranoia dell’identità”, una generalizzata e pericolosa “riscoperta delle radici” che in alcuni casi, come purtroppo abbiamo dovuto vedere, possono arrivare a con- seguenze di terribile portata, a giustificare massacri, genocidi o puli- zie etniche. La profondità di questa mutazione antropologica non si arresta senz’altro alle forme di organizzazione collettiva. La nostalgia dell’identità prodotta dalla nuova natura del corpo disseminato, come accenna Caronia in questo saggio, potrebbe anche essere il motore di diversi movimenti e rivendicazioni oggi ampiamente in discussione nella società in generale. Come afferma Caronia nel testo:

A questo processo sarà del tutto inutile contrapporre una resistenza fondata sulla riterritorializzazione, ancorarsi a pratiche del corpo che tentino di restaurarne la rigidità e la stabilità, cercare salvezza nel rafforzamento dell’identità e della memoria. Queste esperienze sono condannate a essere nient’altro che il rovescio impotente e sangui- noso della globalizzazione in atto. La paranoia dell’identità e della “riscoperta delle radici” non porta ad altro che alle guerre locali più barbare, al massacro reciproco delle popolazioni, alla pulizia etnica: come dimostrano fino alla nausea le convulsioni che attraversano i territori dell’ex impero sovietico, dalla Cecenia all’ex Jugoslavia. La nostalgia dell’identità è in agguato anche dietro i percorsi più radicali: anche il transgenderismo, cioè la rivendicazione di uno spazio per la propria “ambiguità” sessuale o la propria non rispondenza tra biologia e corpo desiderante, può correre il rischio, a volte, di trasformarsi in nient’altro che in una nuova ricerca di identità, nella fissazione di uno status finora non riconosciuto, di un nuovo “modello” (cf. p. 190-191).

Come ben emerge da queste poche righe, mi pare che sia possibile collocare alla radice di queste legittime rivendicazioni sociali – penso specialmente alla questione di genere – la nuova natura del corpo flessibile; questo aspetto del lavoro di Caronia, la lucidità con cui mette in luce fenomeni ancora di là da venire, attribuisce nuova importanza alla riedizione di questo testo, che viene senza dubbio a inserirsi nel dibattito sociale attuale.
A più di vent’anni della prima edizione di questo testo, le riflessioni di Caronia, viste alla luce dei recenti avvenimenti poli- tico-tecnologici, acquistano una nuova valenza, amplificano la loro portata. È possibile che, riprendendo il tema del corpo e navigando nell’universo dell’imaginario collettivo del secolo scorso – un imma- ginario che si regge nelle sue linee portanti sulla potenza concet- tuale della fantascienza, come ci mostra magistralmente l’opera di Caronia – si riescano non solo a capire meglio le radici dei problemi sociopolitici attuali, ma anche, e soprattutto, a individuare le espres- sioni e le forme di autoritarismo che verranno.
Non posso chiudere questa breve nota introduttiva senza menzionare perché la riedizione di questo saggio mi stia particolar- mente a cuore. Antonio è stato il mio mentore e per molti anni ha avuto la generosità di seguire la stesura dei miei primi lavori. Negli anni di studio all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove ho avuto la fortuna di averlo come Professore, questo suo lavoro rappresen- tava per me il luogo d’incontro tra concetti filosofici complessi e opere artistiche contemporanee; qui, questi trovavano forma con- creta per poi scontrarsi con i vertiginosi cambiamenti socio-tecno- logici dei primi anni del millennio. Grazie a questo testo, ho comin- ciato non solo a vedere la fantascienza come un terreno fertile in cui poter potenziare i meccanismi di ragionamento filosofico, ma a rea- lizzare che, nel mondo della complessità tecnologica che cominciava a costruirsi proprio in quegli anni, ragionare attorno al corpo come luogo di sensibilità dove avviene l’esperienza era indispensabile, se non obbligatorio. E credo che sia proprio da lì che dovrebbe ripartire l’analisi sulle tecnologie, che dovrebbero riformularsi molti dibat- titti contemporanei attorno alle teorie transumaniste e identitarie.

German A. Duarte, Alessandria, gennaio 2022


IL CORPO VIRTUALE

Dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti

Prima edizione:
Franco Muzzio Editore, marzo 1996 Seconda edizione:
Krisis Publishing, febbraio 2022
Antonio Caronia

Krisis Publishing
via Aurelio Saffi 6 — 25121 Brescia www.krisispublishing.com

A cura di German A. Duarte

Postfazione di Marcel·lí Antúnez Roca