Cyborg

Contributo tratto daI volume di Antonio Caronia Cyborg. Saggio sull’uomo artificiale (Shake ed, 2008)

Anche in Italia il dibattito sul postumano ha cominciato, marginalmente, ad avviarsi. Nel 2005, alla Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università di Roma “La Sapienza” si è svolto fra gennaio e aprile un seminario su questo tema che ha visto la partecipazione di numerosi relatori interni ed esterni alla Facoltà, i cui interventi sono stati poi raccolti in volume. (2O) Un altro convegno è stato organizzato, nel 2007 all’Università Statale di Milano e allo IULM. (21) E altre iniziative vi sono state in altre sedi, tra cui la Lezione magistrale per il compleanno di Pietro Ingrao tenuta da Pietro Barcellona al Centro studi e iniziative per la riforma dello stato (crs) di Roma nel 2007, anch’essa raccolta in volume. (22) In quest’ultima occasione Barcellona ha avuto il merito di esporre con straordinaria chiarezza una posizione di matrice marxista apertamente opposta e violentemente critica verso 1a prospettiva del postumano, che vale dunque la pena di esaminare con attenzione. Il punto dr partenza è stato quello de1la crisi della politica e della sconfitta del movimento comunista alla fine del xx secolo: 

Ha ragione Tronti quando afferma che la fine del movimento comunista è allo stesso tempo la fine della politica, come immane sforzo dell’uomo di costruire uno spazio autonomo rispetto a quello biologico-naturalistico della produzione e riproduzione della specie: lo spazio della creazione del senso, delle mete individuali e collettive che danno dignità all’agire umano. Se il borghese è per statuto uomo biologico-naturale, il politico è per statuto il suo antagonista.

Barcellona rivendica quindi con nettezza, con puntigliosità e con orgoglio il progetto moderno, identificato sul piano degli obiettivi con la pretesa di gestione politica dell’insieme della società da parte delle forze politiche di sinistra, e sul piano degli assunti filosofici e valoriali con una prospettiva radicalmente antropocentrica e dualista. E vede, coerentemente con questi assunti, nei movimenti del ’68 (indicati in modo riduttivo come “contestazione giovanile”) l’antefatto e l’embrione di quella che a lui appare come la catastrofe: “la regressione dell’ideale individualista a una forma di narcisismo infantile, teso unicamente a1la soddisfazione di ogni bisogno” (p. 23). Il postumano viene visto perciò come il marchio di una svolta che dissolve ogni forma di dignità e consapevolezza umana, che ” offre una rappresentazione dell’umano molto più vicina alla vita dei primati che all’anelito spirituale di un rapporto con la divinità. La crisi del comunismo segna la fine dell’illusione umanistica e apre le porte alla scena del post-human” (p. 30). Il processo di dissoluzione del soggetto moderno è identificato sbrigativamente con la trasformazione dell’economia capitalista in senso postfordista e con 1’abbandono dell’ipotesi dualista mente/corpo: 

Pluralizzazione della soggettività fino all’estrema singolarità, disseminazione del ciclo produttivo fino alla negazione di ogni rapporto territoriale, critica del modello umanistico della soggettività fondato sul dualismo di mente e corpo, sono gli elementi della nuova costellazione. (23) 

Il primo equivoco di Barcellona sta nell’accettare la pretesa dei borghese di essere “uomo naturale”, del capitalismo di essere “modo naturale di produzione”, del mercato di essere “modello naturale di relazioni umane.” Naturalmente nessuna di queste pretese è fondata: borghesia, capitalismo, mercato, non sono affatto “naturali”, sono costruzioni storiche e quindi contingenti, e quindi soggette al mutamento sociale, e quindi alla possibilità e alla logica del conflitto: e Barcellona lo sa bene. Ma tutto ciò non autorizza affatto a concepire i processi “autenticamente umani” come processi che trascendono la natura e la biologia, non autorizzano una visione della politica e del comunismo in una dimensione postbiologica. In questa ripresa ed esasperazione “da sinistra” del modello antropocentrico c’è quindi un equivoco di fondo: questa ripresa è infatti possibile solo se si accetta ciò che si pretende di criticare, cioè l’identificazione del capitalismo con la naturalità, del borghese con l’essenza umana”. Al preteso naturalismo della borghesia si contrappone così un trascendentalismo dell’uomo, che non può avere fondamento, come abbiamo visto, se non in una separazione dualista fra mente e corpo. Il trascendimento del biologico, insomma, non è che una posizione spiritualista o idealista che rientra dalla finestra dopo che è stata cacciata dalla porta. Che cosa significa fare appello al “dover essere”, al “valore”, a un “principio di validità opposto alla normatività immanente del progresso economico? (p. 26) Significa ammettere che sul terreno del soddisfacimento dei bisogni, sul terreno della pura “biologia”, il capitalismo ha già vinto e che per superare il capitalismo bisogna trascendere quel terreno e porsi su un piano superiore, valoriale, che superi la biologia. Ma rifiutare il postumano in nome di un “ritorno all’umano”, di un antropocentrismo riaffermato orgogliosamente come unico ambito possibile per la produzione del senso, può significare soltanto rifiutare idealisticamente le nuove condizioni della vita associata e della produzione sociale, dal cui interno soltanto può maturare la ricerca di pratiche e sperimentazioni che superino l’esistente. Scegliere la strada dell’opposizione tra un finalismo “comunista” e l’automatismo “naturalista,’ dell’economia significa reintrodurre una separazione dell’uomo dal regno del vivente che paradossalmente ne riduce l’autonomia. Se “filosofia della storia e filosofia del soggetto, sotto questo profilo, coincidono nell’epoca dell’instaurazione dello spazio inaugurale della modernità” (p. 27), allora la critica del finalismo e il riconoscimento dell’artificiosità di ogni telos è al tempo stesso la critica del soggetto e della sua pretesa di separarsi dai processi che gli sono propri. L’orrore di Barcellona verso la prospettiva ”postumana” coincide paradossalmente, dal punto di vista delle premesse, con l’esaltazione dei transumanisti per la stessa prospettiva. L’uscita dell’uomo dal biologico, infatti (temuta o desiderata poco importa), è possibile solo se si parte da una concezione fissista della natura umana, da un essenzialismo che vede la possibilità di individuare l’essere umano un insieme di tratti distintivi positivi, individuabili, descrivibili: ma ogni tentativo di questo genere porta inevitabilmente a scambiare per “natura umana” un insieme di caratteristiche e di proprietà storiche determinate, un particolare “stato dell’arte” che nell’evolvere e nel mutare delle culture è destinato a tramontare e a trasformarsi. Non c’è altro tratto distintivo, altro modo possibile di descrivere la “natura umana” se non la sua estrema e variabile duttilità, la sua apertura al possibile, la sua vocazione relazionale e ibridativa, che partendo da una innegabile unitarietà biologica si declina culturalmente nei modi più svariati e diversi. L’essenzialismo, comunque travestito, porta inevitabilmente all’antropocentrismo: ed è su questo terreno, ancora una volta, che si incontrano senza riconoscersi il beato e ingenuo ottimismo tecnologico e il tetro e pessimista catastrofismo.


 

20 Post-umano. Relazioni tra uomo e tecnologia nella società delle reti, a cura di Mario Pireddu e Antonio Tursi, Guerini e Associati, Milano 2006. 

21 “Post-umano. Percorsi di soggettività attuali” , Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Filosofia / IULM, 22 / 23 ottobre 2007. 

22 Pietro Barcellona, L’epoca del postumano, Città Aperta, Troina 2007. 

23 P. Barcellona, L’epoca del postumano cit., pp. 20-21 [corsivo mio, N.dA.). 

24 Ivi, p.26. Si noti che il termine “singolarità”, qui, si riferisce alla frammentazione della soggettività e all’emergere di un esasperato individualismo, e non ha alcuna relazione, quindi, con l’uso dello stesso termine nella locuzione “singolarità tecnologica” discussa precedentemente a proposito dei transumanisti.