Scuola ed esercizio del conflitto

La scuola è sempre di più un’istituzione che viene meno, che ha cambiato, oggettivamente e non per responsabilità di nessuno, rispetto alle sue esigenze e impostazioni iniziali, da quello che si pensava facessero le scuole, dalle prime Università medievali Bologna, Padova, del XIII/ XIV secolo,fino alle grandi Università che si sono sviluppate nell’Ottocento e nel Novecento.

Credo invece che (l’unica funzione ancora valida) sia esercitare il conflitto, cioè fare sviluppare tali esperienze all’interno delle scuole, ai giovani durante loro breve vita, nel breve tempo che passano dentro questo genere di scuole; non tanto perché sia un addestramento alla vita, quanto più perché attraverso l’esperienza del conflitto si fa esperienza reale di una multi dimensionalità della vita, di una ricchezza di dimensioni della vita, di una ricchezza di punti di vista. Si impara a confrontarsi, si impara, volendo, a risolvere i conflitti che si possono risolvere e a non risolvere quelli che non si devono o possono risolvere, perché possono trovare soltanto degli adattamenti successivi o perché il loro sviluppo può servire invece ad innescarne di nuovi e dare luce a nuovi aspetti dell’esperienza.

Insomma il mondo contemporaneo è così complesso, ha una tale complessità di dimensioni, consentendo a chi lo abita così tante possibilità non solo di consumare merci sempre nuove e sempre diverse, ma anche di fare esperienze sempre nuove e sempre diverse, di sviluppare relazioni nuove e diverse. Ora tutta questa ricchezza, che per altri versi, da un certo punto di vista, può fare paura, creare timore o preoccupazione, la si tenta spesso di ingabbiare, di incanalare, di proteggere, di metterla dentro una gabbia, comoda certo, ma pur sempre una gabbia; che questa si chiami “pensiero unico”, che si chiami “commercializzazione”, o qualsiasi categoria noi vogliamo far diventare il centro di questa vita, le cose non cambiano tanto.
Bene, io credo che la cosa più interessante sia che questa ricchezza di dimensioni rimanga tale, che l’esperienza rimanga complessa, che l’esperienza rimanga molteplice, che le esperienze rimangano irriducibili e quindi che i conflitti si sviluppino.
Se si sviluppano conflitti e se si impara a gestire e a vivere all’intero del conflitto -che non vuol dire ammazzarsi gli uni con gli altri- cioè si impara a confrontare nel modo anche più duro ed esplicito possibile, interessi, punti di vista, desideri, bisogni ed esigenze differenti, (perchè questa è la vita contemporanea: lo sviluppo di tutto ciò come mai si è visto in passato) se tutto questo si imparerà a gestirlo, soprattutto ad uso, a favore e a vantaggio del numero maggiore di persone possibili e non per un numero ristretto di persone, allora forse avremo fatto bene il nostro lavoro.

Antonio Caronia


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